Mancate timbrature dipendenti pubblici: è una truffa allo stato?
Negli ultimi anni, agli onori della cronaca, si è sentito parlare sempre più della pratica, particolarmente diffusa nel pubblico impiego, delle mancate timbrature da parte dei dipendenti pubblici o della timbratura falsa dei badge, al fine di coprire l’assenteismo sul posto di lavoro.
Trattasi dei casi in cui l’impiegato timbra e poi si allontana dal posto di lavoro o addirittura fa timbrare il proprio badge ad un collega compiacente.
Giuridicamente parlando tale condotta è inquadrabile nel “reato di truffa”, di cui all’art. 640 c.p., che diviene aggravata quando è compiuta ai danni dello Stato o di enti pubblici da parte di dipendenti pubblici.
Gli elementi indefettibili dell’azione criminosa ad esame sono:
- induzione in errore (inganno);
- errore della vittima;
- ingiusto profitto del reo e di altri;
- danno altrui.
E’ un reato istantaneo e di danno, ove ad essere leso è il bene giuridico rappresentato dal patrimonio dello Stato o di un ente pubblico.
La Suprema Corte di Cassazione ha recentemente statuito (sentenza n. 45698/2015) che l’utilizzo indebito del badge da parte dell’impiegato pubblico, con specifico riferimento al caso in cui venga timbrato nell’interesse di un altro collega assente, integra a tutti gli effetti gli artifici ed i raggiri del reato di truffa, tali da trarre in inganno l’amministrazione, arrecandogli danni sia economici che d’immagine.
Per la Corte, infatti, la timbratura del cartellino elettronico assume una funzione certificativa del rispetto degli orari di lavoro e della presenza in concreto del dipendente sul luogo di lavoro, sicché «qualsiasi condotta manipolativa delle risultanze di attestazione è di per sé idonea a trarre in inganno l'amministrazione» e dunque ad integrare il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato. Ciò in ragione del fatto che il lavoratore fornisce in tal modo una prestazione lavorativa nettamente inferiore rispetto a quella effettivamente dovuta contrattualmente.
La Cassazione precisa anche che, in quest’ultimo caso, il reato di false attestazioni e certificazioni, di cui al Testo Unico sul pubblico impiego, concorre con quello di truffa e si consuma con la falsa attestazione della presenza del dipendente, comprovata dall’irregolare impiego dei sistemi di rilevazione delle presenza.
Altresì, non sussistono i presupposti per far valere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.. Così ha statuito un’altra recente sentenza della Cassazione (sentenza 27/08/2018 n° 38997), che ha escluso l’applicabilità della esimente in parola in caso di accertamento dell’abitualità dell’azione criminosa.
Invero, il legislatore ha subordinato l’operatività dell’esimente in presenza di:
- particolare tenuità del danno;
- non abitualità della condotta.
Conformemente, non può che dedursi che l’art. 131 bis c.p. può trovare impiego solo allorquando si verifichi un unitario e circoscritto disegno criminoso, lontano dall’abitualità della condotta.
Mancate timbrature dipendente pubblico e assenza ingiustificata dal lavoro, tutte le conseguenze
Quali sono dunque le conseguenze per il dipendente pubblico che in pieno orario di lavoro, dopo aver timbrato il badge, si allontana dalla propria postazione?
La falsa attestazione inerente alla presenza in ufficio integra il reato di truffa aggravata e comporta un danno di natura economica all’erario ed all’ente truffato. Di talché, il dipendente rischia il licenziamento per giusta causa (cfr. Cass. Civ., sez. lavoro, sent. n. 13269 del 28.05.2018).
Contestazione disciplinare per le mancate timbrature dei dipendenti pubblici
Con una recente sentenza la Suprema Corte è tornata sull'argomento delle mancate timbrature dei dipendenti pubblici, statuendo che il dipendente che non timbra il cartellino presenze in uscita, lasciando senza autorizzazione il posto di lavoro, compie il reato di truffa aggravata anche se il danno economico arrecato, in virtù dell’assenza, risulta di modesta entità. L’unica condizione, però, ai fini della integrazione del reato è che compromessa l’efficienza del servizio (v. Cass. sent. n. 7005 del 13.02.2019).
Si tratta di un cambio di rotta rispetto alle precedenti pronunce che ritenevano necessario, per la configurabilità del reato ad esame, che il difetto di prestazione lavorativa fosse apprezzabile ed economicamente rilevante.
Pertanto, per quest’ultimo orientamento citato, la condotta del lavoratore deve essere valutata sotto i seguenti profili:
- quantitativo (retribuzione indebitamente percepita);
- in termini d’efficienza.
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